Riposo durante la fuga in Egitto

Riposo durante la fuga in Egitto

Il “Riposo durante la fuga in Egitto” – a Roma nella meravigliosa Galleria Doria Pamphilj, della cui famiglia il dipinto divenne proprietà, com’è oggi, poco prima della metà del Seicento – fu dipinto molto probabilmente nel 1597 per un committente privato sul quale non v’è certezza. Presenta anzitutto il caratteristico, superbo studio della luce, che modella le figure, definisce l’ambiente, esalta i contrasti chiaroscurali. L’ambiente risulta così intimo e raccolto, dai toni caldi e accoglienti, all’interno di una serena scena campestre, disposta attorno ad un perno centrale rappresentato dalla leggiadra figura dell’angelo che suona un violino: colto di spalle, è investito da un raggio di luce, che fa risaltare le pennute ali nere in contrasto col candido panneggio ondeggiante e il chiarore della sua pelle, così come le delicate forme del suo corpo abbondantemente scoperto e con sembianze androgine; il suo violino ha una corda rotta, a simboleggiare probabilmente la fragilità delle cose umane. Alla sinistra dell’angelo, Giuseppe, ritratto frontalmente con impressionante umanità, anziano patriarca che sostiene lo spartito (probabilmente tratto dal Cantico dei Cantici): guarda estasiato l’angelo di fronte a sé, in evidente soggezione segnalata dalla postura contratta e dai piedi sovrapposti l’uno all’altro; sul suo lato prevalgono elementi naturali che richiamano l’aridità (sassi, foglie, rami secchi) su sfondo buio. Al contrario dall’altro lato, a destra dell’angelo, in pieno chiarore, Maria col Bambino. Intorno a loro la natura è rigogliosa – ispirata alla pittura lombardo-veneta del Quattrocento – con molti riferimenti allegorici: l’alloro per la Verginità, il cardo e la spina della rosa per la Passione, il tasso barbasso per la Resurrezione. Ma il culmine della poesia è nel gruppo di Maria col Bambino: lei stanca e cullata dalla musica, ha chiuso gli occhi, il capo teneramente reclinato a sinistra e appoggiato su quello del Figlio, che dorme anch’egli pacioso e fiducioso perché il braccio sinistro della madre lo sorregge e stringe a sé, mentre il destro, libero, è abbandonato lungo il fianco.
L’atmosfera è magica, intrisa di umanità più che di sacralità, anche per l’assenza delle aureole, come consuetudine di Caravaggio, che ne attribuisce una molto sottile solo a Gesù nella “Vocazione di san Matteo”.

Secondo studi recenti, il Riposo apparteneva a Girolamo Vittrici, amico del Caravaggio; dopo la morte di Girolamo, la sorella Caterina lo vendette a Camillo Pamphilj. È certo, comunque, che il dipinto divenne proprietà di Olimpia Aldobrandini Principessa di Rossano, sposa – in seconde nozze – di Camillo Pamphilj nel 1640, quindi dopo la morte di Caravaggio. Da allora il dipinto appartiene alla famiglia Pamphilj nella cui Galleria è tuttora esposto. Nel dipinto di Caravaggio, la natura e il paesaggio svolgono un ruolo simbolico di rilievo: gli elementi naturali accanto all’anziano Giuseppe rimandano all’aridità e alla siccità, mentre la natura ed il paesaggio sono più rigogliosi a destra, dove si trova la Vergine col Bambino. Ai piedi della Vergine il pittore ha dipinto piante simboliche che alludono alla verginità di Maria (l’alloro), alla Passione (il cardo e la spina della rosa) e alla Resurrezione (il tasso barbasso). L’angelo è il perno della raffigurazione che divide in due parti distinte la scena: a sinistra il vecchio Giuseppe, seduto sulle sue masserizie e con i piedi nudi posati sul terreno scuro, veglia – stanco – reggendo la partitura affinché l’angelo apparso possa leggere e suonare, mentre a destra la Vergine, addormentata, abbraccia e protegge teneramente il Figlio. Il mirabile paesaggio sullo sfondo, unico esempio assieme a quello del “Sacrificio di Isacco”, rappresenta uno scorcio della campagna sulle rive del Tevere.
Nel 1983, Franca Camiz e Agostino Ziino hanno identificato la partitura dipinta da Caravaggio, poiché riproduce con estrema precisione un mottetto del compositore fiammingo Noel Bauldewijn (1480-1529), basato sul testo del Cantico dei Cantici e intitolato “Quam pulchra es”. Ciò suggerisce che il dipinto si riferisce al Cantico dei Cantici che, secondo l’interpretazione mariana data dalla Chiesa Cattolica, celebra l’amore mistico dello sposo (Cristo) per la sposa (la Vergine, la Chiesa).

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